Come la maternità influenza l’occupazione? Un dossier sconcertante

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Che una mamma abbia  più difficoltà a lavorare di un’altra donna che non ha figli è un dato di fatto ma valutare l’incidenza percentuale della maternità sull’occupazione vuol dire sottolineare con i numeri un problema sociale. Poi bisogna fare le dovute differenze. 

Siamo certi che ci sono donne che una volta messo al mondo un bambino – magari anche il primo di una lunga serie – accettano di buon grado l’idea di ritirarsi dal lavoro per stare con i figli. Ci sono però anche donne che proprio per il fatto di avere dei figli, sentono la necessità di lavorare, o quanto meno di continuare a lavorare e non possono farlo perché sono additate come mamme.

Un rapporto molto interessante di OpenPolis affronta il problema della difficoltà di conciliare lavoro e maternità e spiega che in Italia le donne con un bambino hanno un tasso di occupazione del 57,8%, che scende al 50,9% con due bambini, e precipita al 35,5% con tre o più bambini.

Sembrerebbe normale ma basta andare a vedere quello che succede in altri Paesi per capire il nostro gap: in Danimarca le donne con tre o più bambini in Danimarca hanno un tasso di occupazione del 77%, superiore
a quello delle donne con un bambino in Italia. Incredibile no?

Il problema del lavoro femminile quindi non è una questione legata soltanto alla differenza salariale ma anche alle pari opportunità di cui le mamme diventano l’emblema negativo. E quando parliamo di pari opportunità non esageriamo perché i dati confermano che per gli uomini l’arrivo di uno o più bambini cambia di poco la situazione lavorativa, mentre è determinante per le donne. Nel grafico che segue la percentuale di uomini e donne all’interno
della coppia che lavorano quando arrivano i figli.

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2 commenti su “Come la maternità influenza l’occupazione? Un dossier sconcertante”

  1. Ciao!

    E’ un problema di welfare. Detta così l’analisi di openpolis ci dice poco. A mio avviso bisognerebbe approfondire la questione.

    Il modello nordico di welfare prevede una serie di sostegni alla madre con figli che permette di rientrare a lavoro come ad esempio asili nido (per i figli) e strutture sanitarie (per l’accudimento di genitori anziani magari non autosufficienti). Per contro, spesso vi è una disoccupazione maschile in età centrale (da capofamiglia).

    In Italia, invece, i sostegni alla donna/mamma non ci sono. L’accesso ai nidi d’infanzia è spesso limitata e quindi, qualora il reddito lo permette, ci si rivolge a baby sitter oppure si lasciano i figli ai nonni (quando sono autosufficienti) per far tornare la donna a lavoro. Non ci sono strutture statali per genitori poco autosufficienti. Però si cerca (ma non è detto che si riesca a pieno) di non fare andare in disoccupazione il maschio/capofamiglia in età centrale. Si cerca di dagli un reddito adeguato per il mantenimento dei figli,dei genitori e della moglie (che magari si è ritirata da lavoro per accudire i figli). Inoltre lo stato italiano non avendo strutture per l’accoglienza di anziani non autosufficienti, prevede un sostegno economico, che poi le famiglie tramutano in “badanti”…

    Da ciò si evince che il ritorno a lavoro della donna/mamma in Italia suona un pò come un’autonomia viziata o dopata (permessa da un’incrocio di baby sitter-nonni-badanti).

    Ma non è tutto oro ciò che luccica a mio giudizio. Infatti non esiste un modello migliore. Cosa succederebbe se cadrebbe in disoccupazione un padre di famiglia in Italia? So benissimo che a causa della crisi ci sono tanti padri in questa situazione ma bisogna guardare le statistiche (che ovviamente fanno pendere l’ago vs la disoccupazione giovanile).

    Dunque siamo davanti ad una coperta. Il modello nordico la tira da una parte ed il modello Italiano dall’altra. Il tutto è frutto di usanze e costumi sociali che si perdono nella storia delle nostre costituzioni.

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    • Quello che open polis ha fatto è di prendere i dati a disposizione di tutti e renderli presentabili, estrapolandone delle conclusioni che a mio avviso dicono molto. Il sistema del welfare italiano è sicuramente complesso e forse anche migliore di quello che c’è nel resto d’Europa ma non è detto che sia il più giusto. Perché a lavorare deve essere il capofamiglia e non la capofamiglia? Perchè i soldi pubblici non devono essere spesi per ampliare la rete di servizi per le famiglie? In genere si pensa per cultura che per una mamma i figli non siano un motore ma una zavorra. Io ripartirei da qui da questo (mal)costume sociale.

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