Educare i maschi contro la violenza: intervista a Cristina Oddone, vincitrice del premio per il contrasto alla violenza di genere

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Cristina Oddone, vincitrice del Premio per la migliore tesi di ricerca sul tema del Contrasto alla violenza contro le donne, è assegnista dell’Università di Genova: lavora sui temi della violenza di genere in sociologia. Il premio per la miglior tesi di Dottorato in materia di contrasto alla violenza di genere le è stato conferito dalla delegazione italiana presso l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le pari opportunità, il Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionali, la CRUI e il Consiglio d’Europa.

Come ha affrontato il tema del contrasto alla violenza di genere nella sua tesi di Dottorato in Sociologia presso l’Università di Genova?
La tesi è un’etnografia nel primo centro di ascolto italiano, una ricerca empirica che è il risultato di un lunga osservazione presso il “Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti”, nato a Firenze nel 2009. Il tema della violenza di genere viene trattato dal punto di vista maschile, dal punto di vista degli autori di violenza. Nell’analisi non vengono analizzati casi di femminicidio, né esperienze di uomini detenuti per aver commesso violenza, ma casi di uomini che in maniera volontaria decidono di affrontare il problema della violenza – fisica, economica, psicologica – in ambito familiare e nelle relazioni di intimità.

Come funzionano i centri di ascolto per gli uomini autori di violenza?
I centri antiviolenza esistono dagli anni Settanta e hanno svolto un ruolo molto importante in sostegno alle donne, ma non si può combattere questo fenomeno senza lavorare sugli uomini, sul maschile e sulla relazione. Quindi è importante prendere in carico non solo le vittime, ma anche gli autori di violenze così come fanno i centri di ascolto per uomini autori di violenza.

Nei centro si svolgono incontri di gruppo psico-educativi, gruppi di auto aiuto che sono però coordinati da psicologo e psichiatra, entrambi con una formazione di contrasto alla violenza. I gruppi sono luoghi in cui gli uomini si mettono in scena come uomini e, aldilà del fenomeno della violenza, si analizza anche il loro modo di vivere la mascolinità. Emerge da queste analisi che il modo in cui i bambini vengono educati a diventare uomini ha la violenza come ingrediente fondamentale. Questo è un invito rivolto a tutti a mettere in discussione le relazioni ed modo in cui le viviamo perché abbiamo degli automatismi come uomini in una direzione e come donne in un’altra che perpetrano degli stereotipi.

Cosa pensi abbia spinto questi uomini a recarsi al centro di ascolto?
Molti di questi uomini arrivano disperati, hanno raggiunto un limite e vogliono salvare la propria relazione o il rapporto con i propri figli. Sono spinti al limite da qualche situazione estrema: separazioni, sono andati in ospedale d accompagnarla la propria compagna, hanno ricevuto una denuncia. Si trovano in una situazione limite per la quale sentono di dover fare qualcosa o arrivano su consiglio di un assistente sociale.

Quali atteggiamenti possono essere individuabili come i primi segni di violenza sulle donne?

• Il controllo della vita dell’altro: l pretesa di controllare azioni, movimenti e spostamenti dell’altro anche nella quotidianità;
• L’esercizio del potere: il tentativo di agire sulla libertà individuale della persona e il non rispetto della libertà di scelta;
• La svalorizzazione dell’altro: violenza psicologica diffusa che non viene percepita come tale, è un forma naturale legata al maschilismo e consiste in una forte sopraffazione dell’altro.

Si parla di Continuum della violenza, from vigilance to violence, dal controllo fino alla morte. Il femminicidio non è un atto di follia, un gesto che avviene all’improvviso. Può essere preceduto da una serie di comportamenti non percepiti che molto spesso sono anche socialmente accettati e approvati. Sessismo, discriminazione, certe forme di galanteria sessiste che presuppongono una inferiorità femminile sono alcuni degli aspetti su cui può crescere la violenza di genere.

Cosa può fare una donna nel momento in cui riconosce i primi segni di violenza o subisce dei maltrattamenti?

Per prima cosa non viverla come un’esperienza privata e individuale. La violenza sulle donne è un fenomeno sociale che riguarda la vita di moltissime donne e proprio la peculiarità familiare di questo tipo di violenza fa sì che una donna sia portata a viverlo come un fatto privato. In realtà è qualcosa che riguarda lei, il suo compagno e dei rapporti di potere tra uomini e donne che vanno aldilà della singola relazione, quindi è fondamentale parlarne con familiari amici e chiedere aiuto. Cercare il confronto con gli operatori specializzati nei centri antiviolenza è un primo passo.

Molte donne che si rivolgono ai centri anti-violenza vogliono rimanere col proprio compagno, non vogliono abbandonarlo perché lo amano, perché hanno dei figli con lui, perché hanno un vita insieme. Vogliono solo che il compagno interrompa i comportamenti violenti ed è per questo che è importante lavorare sugli uomini.

Pensa che il continuum della violenza nelle relazioni intime si possa fermare?
La mia tesi è ottimista: è possibile cambiare e mettersi in discussione, ma ci vogliono gli strumenti giusti e il coraggio per farlo, soprattutto per gli uomini che sono più restii a mettersi in discussione, e mettersi in gioco e affrontare i propri limiti, accettando un supporto psicologico.

Ritiene che la violenza di genere, oltre ad essere un evento privato, sia un fenomeno culturale e sociale?
La violenza di genere nasce dall’educazione, si sviluppa culturalmente in una società limitata da valori conservatori, ma può essere influenzata da altri fattori di rischio. Ma gli uomini su cui ho lavorato io sono uomini normali: le patologie pregresse o i disagi psicologici non sono determinanti e allo stesso tempo la violenza è trasversale rispetto alla classe sociale, all’età, all’educazione perché si osservano fenomeni in uomini di 70 anni come in ragazzi di 30 anni.

In un momento in cui Family Day e battaglia contro la teoria del gender portano in piazza tante di persone è più difficile contrastare i ruoli di genere e gli stereotipi. Proprio per questo assistiamo ad un’ondata di conservatorismo, in un sistema di valori in cui i ruoli sono predefiniti e fissi: negazione dell’emancipazione, ruoli tradizionali in cui la donna si occupa della prole e il maschio si occupa del sostentamento, così come in alcuni gruppi conservatori l’uomo è attivo nella vita pubblica, la donna nella sfera provata, legittimando la disuguaglianza come un fatto naturale. Quindi è importante attirare l’attenzione sul come la violenza di genere sia un risultato di questi stereotipi così codificati.

Violenza sulle donne: quali le esperienze negli altri Paesi d’Europa?
L’Italia è uno degli ultimi Paesi europei che hanno cominciato a lavorare su questi temi. I primi esempi di Contrasto alla Violenza di Genere risalgono agli Anni Settanta negli Stati Uniti; negli anni Novanta in Norvegia nasce il centro Alternative to Violence che prende in carico la figura maschile e i rapporti all’interno della famiglia.

Interessante anche l’esperienza della Spagna – Paese cattolico e mediterraneo socialmente e culturalmente simile all’Italia – che negli ultimi 12 anni ha lavorato molto su questi temi con gruppi di auto aiuto. C’è un lavoro congiunto tra Sistema Sanitario nazionale, forze dell’ordine e mezzi di comunicazione, Ministero dell’ Informazione e Ministero della Comunicazione che h portato a risultati positivi. C’è una legge organica e un sistema strutturato di azione contro la violenza di genere che ha permesso di ottenere risultati positivi. Da quasi una donna morta al giorno nel 2004 ad una quarantina all’anno.

Il 25 novembre è la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza di Genere.
Il 25 novembre e l’8 marzo tutti i media riversano la loro attenzione sulla questione della violenza di genere e, a partire dal 2012-2013, in Italia c’è stata una grande attenzione mediatica sul femminicidio. Sono segnali importanti perché si comincia a parlare di questo fenomeno ma è importante anche come se ne parla perché spesso i media hanno toni allarmisti che portano a rendere eccezionale il fenomeno e non a riconoscerne la sua natura quotidiana e banale, il fatto che siamo tutti coinvolti in questo genere di relazioni abusanti. Occorre avere la capacità di riconoscere comportamenti aggressivi violenti a livelli molto più bassi, senza arrivare all’estremo e i media hanno una grande responsabilità e la possibilità di generare una cultura del contrasto alla violenza di genere informando.

A che punto si trova l’Italia nel contrasto alla violenza di genere?
In Italia ci vuole un legge organica sulla violenza di genere che metta insieme più ambiti: dall’educazione all’integrazione dei protocolli con gli assistenti sociali e le forze dell’ordine. Uno dei problemi più grossi legati alla violenza di genere è che non viene riconosciuta dai servizi e si riporta il tutto ad un diagnosi privata ed individuale. Allo stesso modo è importante che gli operatori abbiano una formazione in materia di studi di genere, di studi sulla mascolinità, che riconoscano l’asimmetria storica dei rapporti di potere. A livello locale molte province italiane hanno fatto grandi passi avanti, ma sono esperienze limitate nel tempo che mancano di continuità. Il problema deve essere preso in carico dl punto di visto del servizio sanitario nazionale: solo a Modena c’è un consultorio sulla violenza di genere con esperti psicologi che lavorano sul tema. Tutti gli altri centri sono nati in forma privato-sociale, vivono di finanziamenti, ma non sono inseriti in un programma nazionale strutturato. Allo stesso modo la stampa e gli operatori del settore dei Media giocano un ruolo fondamentale nel contrasto alla violenza di genere ed è solo nell’ottica di un intervento organico e onnicomprensivo che il contrasto alla violenza sulle donne può portare risultati concreti.

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