misty copeland prima etoile di colore

Misty Copeland sarà la prima etoile di colore della danza?

misty copeland prima etoile di colore

Misty Copeland si è guadagnata un posto tra le donne più influenti del mondo sul Time ma potrebbe diventare a breve anche la prima etoile di colore della danza classica. La nomina è attesa per il 4 Luglio all’American Ballet Theatre di cui la ballerina è già solista dal 2007.

La sua è la storia di chi ce l’ha fatta superando tutti i limiti, i pregiudizi, le difficoltà e se anche non dovesse raggiungere il riconoscimento più ambito per una danzatrice classica, comunque sarà arrivata più lontano di molte altre che l’hanno preceduta.

Nata in Missouri da una famiglia povera e numerosa, ha lotatto con i denti e tutta la sua forza di volontà per affermarsi. Pur avendo iniziato a studiare danza solo a 13 anni, un’età ormai tarda per le ballerine classiche, ha ottenuto presto riconoscimenti e successo, arrivando a diventare una solista del prestigioso American Ballet Theatre di New York.

In tutta la sua lunga storia, il celebre balletto americano non ha mai avuto una etoile di colore ma d’altronde fino a Obama l’America non aveva mai avuto un presidente nero. La sua nomina a prima ballerina sarebbe un segnale forte in un periodo in cui si assiste alla recrudescenza dell’odio razziale.

Intanto Misty ha vinto già più di una battaglia personale arrivando ad ottenere risultati di alto livello pur essendo – con le sue parole – “nera, bassa e formosa.” Ha raccontato la sua storia nell’autobiografia Life in Motion, sui social media è seguitissima e di recente è stata anche la prima Odette afroamericana ne Il lago dei Cigni.

Photo Credits | Facebook

Corte Suprema Usa, le nozze gay sono diritto costituzionale

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#Lovewins è l’hashtag utilizzato dal presidente Barack Obama dopo la storica sentenza della Corte Suprema emessa lo scorso 26 Giugno. La Corte ha stabilito che il matrimonio è un diritto garantito dalla Costituzione anche per le coppie omosessuali. Questo sta a significare che due persone dello stesso sesso potranno sposarsi e vedersi riconosciuto il matrimonio in tutti i 50 Stati del Paese.

Una vittoria per Obama che, sempre su twitter, ha scritto: “Oggi è un grande passo nella nostra marcia verso l’uguaglianza. L’amore è amore. E’ stata una conquista straordinaria, persone comuni possono fare azioni straordinarie. L’America dovrebbe essere fiera di loro. Oggi abbiamo reso la nostra Unione un po’ più perfetta“.

Nel 2013 la Corte aveva emesso un’altra sentenza a favore dei diritti degli omosessuali, dove stabiliva che le coppie dello stesso sesso sposate in Stati dove era legale farlo, avevano diritto ai benefici federali legati al matrimonio.

Foto | The White House Facebook

44 Mixtape, il nuovo album di Marti Stone con Dj Tess

 

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Il 30 Giugno esce il 44 Mixtape, l’ultimo lavoro di Marti Stone con Dj Tess, in free download sul sito martistone. Marti Stone è una rapper abruzzese che vive di musica e insegue i propri sogni con determinazione e coraggio. Questa è solo una piccola parte della chiave del suo successo, lo stesso che le fa girare l’Italia tra jam hip hop e club.

Nel 2013 conosce Tommaso Piotta, un incontro che le cambia la vita. Infatti, il rapper romano decide di produrre l’ album d’esordio Sulla bocca di tutti e basta un solo ascolto per capire il motivo. Marti Stone è un’ artista fuori dall’ordinario. Giovane, euforica e con una profonda sensibilità e capacità analitica verso ciò che la circonda.

Per fortuna non abbiamo dovuto attendere molto per il suo nuovo lavoro, realizzato in collaborazione con Giulia Tess, dj di tutti i suoi live ed ex concorrente di Top Dj 2015, talent show di Sky Uno.

Il titolo si ispira alla trascrizione numerica dell’inglese “For For” che, in dialetto- slang abruzzese, significa “Fuori Fuori, Fuori di Testa”. 44 Mixtape è una raccolta di 37 tracce, con 11 inediti su strumentali americane e alcuni pezzi e remix ufficiali della stessa Marti, usciti in varie compilation del 2014/2015.

E’ un manifesto della selezione musicale proposta dal duo, un viaggio nella bass music partendo dalle origini raggae-dancehall della DJ e dalle nuove hit americane hip-hop, senza dimenticare la trap e le sue contaminazioni.

Nel mixtape sono presenti Deliuan, dj e produttore pescarese, nella traccia Swaggateam, MC Nill, rapper umbra, in Sogni d’oro e Sab Sista, rapper tra le più famose della scena musicale italiana, in Hot Nigga remix.

Missato da Weshit presso il Qwagur Studio di Roma e con La Grande Onda nella veste di partner, 44 Mixtape è un disco interamente autoprodotto dalla rapper, che ha commentato così il suo ultimo lavoro:

Dopo Sulla bocca di tutti ho sentito il bisogno di pubblicare un album non ufficiale in free download per ringraziare chi mi ha supportata durante l’ultimo anno e per imprimere il format proposto da me e da Tess nei nostri showcase/DJ set, caratterizzato da un sound da club con una selezione che va dalle hit più conosciute alle chicche dell’underground dei generi e sottogeneri che tocchiamo.

Quello passato è stato un anno di novità, come l’aver cambiato alcuni collaboratori e questo mixtape rappresenta il passaggio tra l’album precedente e un nuovo capitolo della mia esperienza musicale.

I temi del 44 Mixtape sono volutamente leggeri; si respira aria di festa e voglia di cambiamento, a parte alcune tracce meno spensierate che comunicano i motivi della metamorfosi.

Per la copertina abbiamo collaborato con Alex Bucci, grafico di Heko Records (indie label techno/house/elettronica) perché c’è molta sintonia nel lavorare insieme e in più si ha sempre una formula vincente nell’unione di diverse realtà musicali provenienti dalla stessa area: me da La grande onda, Tess dalla Blackbox crew e Alex dalla Heko Records.

Foto e copertina | Alex Bucci

In video Pronta estratto da 44 Mixtape

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=olpr8ztKStY]

contro la violenza sulle donne

In Argentina un tweet contro la violenza sulle donne

contro la violenza sulle donne

In Argentina la rivoluzione contro la violenza sulle donne comincia con un tweet. È quello di Marcela Ojeda, una giornalista radiofonica che ha intervistato spesso le famiglie di donne uccise da mariti, fidanzati, amanti ed ex.

La giornalista sa bene che femminicidio è solo una parola diventata di moda, usata per definire qualcosa che accade più spesso e da più tempo di quanto non si sappia o non si ammetta. Per questo ha scelto di lanciare su Twitter una campagna di sensibilizzazione che sta dilagando in tutto il mondo.

L’hashtag #NiUnaMenos è partito lo scorso 11 Maggio con il primo tweet arrabbiato della giornalista argentina che ha lanciato un allarme già noto ma mai troppo spesso sottolineato: “They’re killing us.” Grazie alla vasta eco raggiunta, il 3 Giugno scorso è stata organizzata una marcia pacifica per le strade di Buenos Aires e da lì le proteste si sono diffuse anche ad altre città del paese.

Il tag è diventato presto virale e nel giro di poche settimane la partecipazione, sia fisica che virtuale, è diventata imponente. Le statistiche d’altronde sono scioccanti, ogni giorno troppe donne muoiono per mano di un uomo che le aveva amate o aveva detto di amarle.

L’omicidio di una donna da parte di un uomo è qualcosa che prescinde la sua definizione recente eppure l’uso del termine femminicidio, per quanto sgradevole appaia a molti, ha anche un valore politico: stabilisce il riconoscimento sociale di una violenza di genere da affrontare come tale.

In alcuni paesi essere una donna è più pericoloso che altrove, non esistono tutele legali contro lo stalking e c’è una cultura della sottomissione femminile che rende più difficile ribellarsi e portare alla luce i casi di violenza privata. La Rete però ci ha dato una nuova voce che possiamo sfruttare per difenderci e difendere le donne più deboli, amplificando la loro voce. Può dunque un tweet cambiare le cose? Sì, e se non le cambia ha il potere di avviare un cambiamento o almeno un dibattito.

Photo Credits | Artem Furman / Shutterstock.com

Video integrale di Kiko Arguello sul femminicidio, pro e contro

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Kiko Arguello, nel suo discorso tenuto durante il family day di sabato scorso, ha toccato un tema spinoso come quello del femminicidio. I giornali, quasi tutti, hanno riportato la notizia dicendo che il fondatore del cammino neocatecumenale ha detto che il femminicidio è colpa delle donne. Ma c’è anche chi lo difende, scopriamo perché. 

Kim Kardashian donna oggetto

Kim Kardashian tiene una lezione sulla donna oggetto

Kim Kardashian donna oggetto

Sex symbol che non rifiuta di posare nuda davanti agli obiettivi dei fotografi e sulle copertine delle riviste, Kim Kardashian sorprende tutti tenendo una lezione sulla donna oggetto al Commonwealth Club of California. È stata scelta proprio per la sua esperienza diretta nel campo, cioè nell’uso, anche spregiudicato, del proprio corpo. Se non si intende lei di reificazione del corpo femminile

L’evento è programmato per questo mese e gli argomenti dell’intervento sono tratti dal suo nuovo libro Selfish, con un affondo nelle tematiche dell’oggettificazione della donna. Ma come può un personaggio che del corpo e degli ammiccamenti sessuali ha fatto oggetto e punto di forza avere una qualche autorevolezza sull’argomento?

Le polemiche non tarderanno, alcuni haters si stanno già scatenando puntando il dito sull’infelice scelta, eppure Kim Kardashian una qualche esperienza deve pur averla dal momento che ha costruito un’intera carriera sullo sfruttamento del proprio sex appeal. E tuttavia sembra assurdo che possa avere qualcosa da insegnare in proposito, almeno non dal punto di vista della lotta a quella stessa reificazione contro cui le donne spesso e giustamente si ribellano.

Che ci sia una sottile differenza tra il lucido sfruttamento del proprio corpo, con consapevolezza e a fini di marketing, e l’uso che ne fanno i media trattandoci da cose e non da persone, quello è indubbio. Ma questo limite è così sottile che superarlo è facile, accorgersene più difficile. Nel caso di un personaggio come la Kardashian è addirittura preferibile che il limite rimanga fumoso, ambiguo.

I biglietti per l’evento sono già tutti sold out e non ci è chiaro se ciò dipenda dall’interesse nei confronti delle tematiche affrontate o dalla semplice presenza del personaggio famoso, tra i più seguiti sui social media.

Photo Credits | Tinseltown / Shutterstock.com

donne iraniane senza velo su Facebook

Le donne iraniane senza velo su Facebook

donne iraniane senza velo su Facebook

È in corso una pacifica invasione, sono le donne iraniane senza velo su Facebook: mostrano i capelli ribellandosi ad una legge che impone loro di coprire il capo sin da 1983. Secondo il Codice Penale della Repubblica Islamica dell’Iran tutte le donne in pubblico devono indossare l’hijab o sono passibili di pene che vanno dai 10 giorni ai 2 mesi di reclusione o a sanzioni pecuniarie. Nel 2014 solamente oltre 3.5 milioni di donne hanno subito avvertimenti o l’arresto per via di un abbigliamento ritenuto inappropriato secondo la morale. Oggi le donne iniziano a dire basta.

Lo fanno servendosi della Rete, un potente mezzo a disposizione dei messaggi di gruppi di attivisti che vogliono sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulle tematiche che stanno loro a cuore. In questo caso l’onda lunga sul web è stata iniziata dalla giornalista iraniana Masi Alinejad che ha creato il gruppo su Facebook dal titolo My Stealthy Freedom. Lo scopo è quello di incoraggare le donne a pubblicare immagini di se stesse con i capelli scoperti.

Indossare l’hijab, dicono con forza le donne, deve essere una scelta e non un’imposizione sancita da una legge che prevede pene così severe. La libertà delle donne è ancora fortemente in discussione in paesi come l’Iran e questa battaglia lo dimostra.

La pagina Facebook ha raggiunto più di 840.000 like nel giro di pochi giorni dimostrando che il mondo del web è sempre pronto a schierarsi con forza a favore della libera scelta. Dal canto loro le donne iraniane coinvolte nell’acceso dibattito spiegano che non si tratta di una questione semplice da risolvere. Molte donne infatti vogliono indossare l’hijab, pensano sia giusto e lo accettano di buon grado, considerandolo un simbolo di identità religiosa. Dovrebbe però rimanere una scelta personale e non un obbligo di legge.