pic nic al Padiglione Israele a Expo 2015

Un pic nic al Padiglione Israele a Expo 2015

pic nic al Padiglione Israele a Expo 2015

Un’occasione da non perdere prima della chiusura ufficiale dell’Esposizione Universale alla fine del mese di Ottobre: un pic nic al Padiglione Israele a Expo 2015 è un’esperienza da fare e ricordare. Non solo per gustare il cibo tipico di questo paese e godersi una bella giornata di sole autunnale all’aria aperta, ma anche per l’impronta eco-friendly che questo servizio ha scelto.

Come funziona? Al ristorante del padiglione Israele basta ordinare i piatti che si vogliono assaggiare chiedendo il cestino per il pic nic nell’area food. Il cestino è in vimini ed è spazioso abbastanza per contenere e trasportare l’ordinazione.

Il kit contiene già una tovaglia a quadri, un apribottiglie, tovaglioli, le posate e un sacchetto per gettare via tutto una volta finito il pasto. Tutti gli accessori in dotazione sono realizzati in materiale riciclabile e compostabile, dunque a basso impatto ambientale.

Di fronte al ristorante c’è un’area pic nic appositamente realizzata per usufruire del servizio, con tavolini e panche a disposizione. Chi lo preferisce, però, può stendersi sul prato e godersi il sole. Gli orari del ristorante del padiglione Israele vanno dalle 12 alle 16 per il pranzo e dalle 19 alle 22 per la cena.

È possibile scegliere tra moltissimi piatti della tradizione israeliana, tutti preparati secondo le regole antichissime della cucina Kosher. Per restare sui grandi classici potete ordinare il celebre hummus di ceci con pita o i felafel con salsa tahina. oppure scegliere il tabulé o la insalate fredde.

Chi se la sente di provare qualche specialità meno diffusa può optare per la shakshuka, con pomodori e peperoni e un uovo in camicia immerso nella salsa. Da non perdere la majadera, simile al cous cous di bulgur con salsa allo yogurt, lenticchie e cipolla al cumino e cannella. I prezzi medi per i piatti unici si aggirano intorno ai 10 euro. Aggiungendo pochi euro si può avere anche un dolce o un bicchiere di vino israeliano (come il Monfort Carignan).

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Il mio vicino Totoro, torna al cinema il capolavoro dello studio Ghibli

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Il 2015 era stato annunciato come l’anno dello Studio Ghibli e così è stato: dopo Il regno dei sogni e della follia, il documentario che per la prima volta ha condotto il pubblico all’interno del magico Studio di Miyazaki e TakahataQuando c’era Marnie, ultimo capolavoro prodotto dallo Studio, Nausicaä della Valle del Vento, il primo scritto e diretto da Miyazaki e una collana steelbook da collezione dedicata a quest’ultimo, torna nelle sale italiane Il mio vicino Totoro, il film che più di tutti rappresenta l’immagine dello Studio Ghibli.

La storia è nota a tutti: le sorelline Satsuki e Mei si trasferiscono insieme al padre in una nuova casa in campagna. Per le due bambine inizia un viaggio alla scoperta di un nuovo mondo, abitato da creature fantastiche: dai nerini del buio, spiritelli della fuliggine, a buffi esseri di pelo di varie dimensioni, tra cui Totoro, lo spirito buono della foresta. Insieme a lui, Satsuki e la piccola Mei vivranno una magica e straordinaria avventura all’insegna dell’amicizia.

Per il trentesimo anno dello Studio Ghibli, torna nelle sale il 12 e 13 Dicembre in un’edizione di alta qualità completamente rimasterizzata. Un’ occasione imperdibile per riscoprire uno dei capolavori dell’animazione senza età che ha fatto divertire ed emozionare grandi e piccoli di tutto il mondo.

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Foto | Lucky Red Press

Pechino Express, Naike Rivelli è incinta?

Ornella Muti e Naike Rivelli

Naike Rivelli e Yari Carrisi si sono conosciuti durante la loro esperienza a Pechino Express e da allora non si sono più lasciati e adesso si scopre che forse la figlia di Ornella Muti è in dolce attesa.

Io sono Ingrid, la vita della grande attrice svedese in un film

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Per il centenario dalla nascita di Ingrid Bergman, arriva in Italia il documentario Io sono Ingrid diretto dal regista svedese Sting Björkman che racconta la storia della grande attrice attraverso le sue parole e i film da lei girati. Dopo l’anteprima al Festival di Cannes nella sezione Classici, il 19 e 20 ottobre arriva al cinema, distribuito da Bim Distribuzione.

Björkman ha raccontato che nella primavera 2011 avvenne l’incontro con Isabella Rossellini, figlia della mitica attrice svedese e del regista Roberto Rossellini. La stessa Isabella gli suggerì di “fare un film su mamma“. E proprio grazie quest’idea, è nato il documentario, che il 29 Agosto avrebbe compiuto 100 anni.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=qM-bXYxZ-dY]

Foto | Ingrid Bergam frame youtube

voglio una ruota

Voglio una ruota, un documentario sulle donne in bicicletta

voglio una ruota

Voglio una ruota lancia una campagna di crowdfunding per realizzare un documentario sulle donne e la bicicletta, su come questi due mondi si sono incontrati e amati, si sono cambiati e a vicenda e hanno modificato la percezione delle donne, della loro libertà, della loro forza. Nonostante ciò, ancora oggi in molti paesi per le donne è disdicevole inforcare una bici e nel mondo dell’agonismo le cicliste sono classificate come dilettanti.

Cos’è Voglio una ruota

Per raccontare una lunga storia di confronto e incontro, e per cambiare un po’ anche il futuro, la squadra di Voglio una ruota ha deciso di investire sulla partecipazione delle persone che credono nel valore della bicicletta, come mezzo di trasporto ma anche come strumento di emancipazione e libertà.

Lo scelta del crowdfunding è la voglia di riuscire a rimanere un progetto indipendente. C’è tempo fino al 16 Novembre per raggiungere l’obiettivo e realizzare il documentario sulle donne in bicicletta che avrà tecnica mista, con animazioni e interventi delle donne che oggi stanno cambiando il mondo del ciclismo al femminile.

“Non regalatemi dei fiori, voglio una ruota”

Questo è lo slogan della campagna scelto da Antonella Bianco, la regista del documentario, insieme al suo team. È una storia d’amore quella che il film si propone di raccontare e che la campagna ha già iniziato a farci scoprire.

Una storia che inizia nell’Ottocento, quando la bicicletta fu inventata. Era un periodo di grandi progressi tecnologici e la bicicletta divenne subito un simbolo di libertà. Le donne all’inizio ebbero vita dura, non era facile pedalare con le grosse gonne dell’epoca e veniva considerato oltremodo sconveniente. L’emancipazione femminile aveva trovato il suo primo strumento di lotta.

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Una storia di donne

Questa storia, con le sue storie, vuole rendere giustizia alle donne cicliste che stanno lottando per cambiare questa percezione riduttiva della loro passione, per rivendicare il diritto a far girare le proprie ruote in completa libertà.

“Non bisogna andare troppo lontano per capire che la parità dei diritti è ben lontana persino in Occidente – dice Antonella Bianco – in cui il ciclismo femminile è visto come uno sport minore rispetto a quello maschile. In Italia, per esempio, non esiste una legge che riconosca le donne atlete come professioniste, con tutta la disparità economica e sociale che ne consegue. Ragazze che vincono medaglie d’oro in competizioni internazionali gareggiano come dilettanti.”

Le testimonianze

Nel documentario saranno presenti le testimonianze di molte donne che hanno fatto della bicicletta il fulcro della loro vita, diventando simbolo stesso del ciclismo al femminile oltre che di affrancamento da invisibili ma tenaci barriere culturali.

C’è la storia di Edita Pučinskaitė, unica donna ad aver vinto Giro d’Italia, Tour de France e Campionati del Mondo. C’è quella di Paola Gianotti, che ha compiuto il giro del mondo in bicicletta polverizzando il record precedente. E avete mai sentito parlare della storia delle ragazze egiziane del gruppo GoBike del Cairo? Ogni giorno sfidano i pregiudizi del loro paese che ritiene sia inappropriato per una donna andare in bicicletta.

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Eyerusalem Dino Keli

E poi c’è Eyerusalem, giovane e promettente ciclista etiope che contro il parere della famiglia ha tenacemente inseguito il suo sogno, ad appena 13 anni, prima fuggendo ad Addis Abeba e poi arrivando in Italia, dove oggi corre con la squadra Michela Fanini. Oggi ha 23 anni e la sua è una storia di riscatto.

“Abbiamo già iniziato le riprese – racconta il team di Voglio una ruota – e conoscere Eyerusalem e ascoltare la sua storia è stata un’esperienza intensa e coinvolgente. Man mano che andiamo avanti, si fanno nuovi incontri e si aprono mille strade nuove. Mi piacerebbe poter includere tutti nel progetto, la scelta è davvero difficile.”

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campo verticale al padiglione israele

Il campo verticale del padiglione Israele anche in casa

campo verticale del padiglione Israele

Il campo verticale del padiglione Israele a Expo 2015 è diventato un simbolo potente, non solo del messaggio che il paese ha voluto portare all’Esposizione Universale ma anche della più concreta possibilità che i modelli proposti possano essere accolti anche altrove. È quello che sta succedendo a Milano.

Il giardino verticale che ha adornato per mesi il padiglione di Israele è stato ripreso da un network di professionisti italiani che fa capo a Plinio63 Hublab e si occupa di progettazione architettonica in chiave green. L’idea è quella di creare spazi verdi dove non c’è terreno a disposizione, perché fagocitato dalle costruzioni moderne.

Grazie all’idea del Padiglione Israele, un piccolo seme è stato gettato con l’Expo 2015 e già ha attecchito: il modello proposto è stato rivisitato in chiave fai da te per renderlo accessibile ed esportabile facilmente a tutti i livelli, in tutte le realtà, anche dentro casa.

Secondo il nuovo progetto, chiunque voglia potrà creare il proprio orto verticale in casa, facilmente e ottenendo risultati inaspettati sia in termini decorativi sia in termini più propriamente produttivi: la soddisfazione di crescere in casa propria l’insalata da portare in tavola non è impagabile? Per non dire poi dell’indubbio influsso positivo che ha sulla qualità della vita poter godere di uno spazio verde.

I campi verticali fai da te sono irrigati a goccia, proprio come il grande campo costruito da Israele a Expo 2015 e probabilmente uno degli elementi più fotografati e ammirati in assoluto in tutto l’evento. Il campo verticale casalingo non bagna, non macchia e non sporca. È già completo di tutto e si può sistemare sul terrazzo ma anche dentro casa. Una vera rivoluzione per chi non dispone neanche di un piccolo balcone.

Photo Credits | Facebook Padiglione Israele

#polishedman

#polishedman: perché gli uomini si smaltano le unghie sui social

#polishedman

Negli ultimi giorni sui social media si assiste ad uno strano fenomeno che un hashtag contribuisce a spiegare: #polishedman è un movimento social che parte dagli uomini e gli uomini coinvolge in un battage che acquisisce forza dalla sua diffusione e ha lo scopo di sensibilizzare le persone sui temi della violenza sui bambini.

Su Twitter, Instagram, Facebook si vedono apparire uomini con le unghie smaltate che proprio per la bizzarria di queste immagini inattese attirano l’attenzione sul messaggio che vogliono comunicare. L’iniziativa si è sparsa rapidamente in tutto il mondo ma è partita da Elliot Costello, amministratore delegato di Ygap, un’organizzazione che si occupa di aiutare comunità disagiate ad affrancarsi dalla povertà.

La portata dei social media come sempre amplifica moltissimo la più piccola delle battaglie, sempre che il messaggio di fondo sia di valore. In questo caso lo è, per quanto venga proposto in un modo che non ci saremmo certo aspettate: gli smalti di solito sono nostro appannaggio quasi esclusivo e ci sorprende (ma positivamente) vedere come gli uomini abbiano scelto di utilizzarlo per attirare l’attenzione.

Secondo le stime, 1 bambina su 4 e 1 bambino su 5 sono vittime di violenza prima di raggiungere l’età di 19 anni, dice Costello in un’intervista ad Huffington Post, e continua:

“La maggior parte di queste violenze è commessa da uomini. È dunque importante che gli uomini si assumano la responsabilità di cambiare le cose.”

La campagna è partita il primo Ottobre e proseguierà fino al 15. Agli uomini che vogliono partecipare viene chiesto di smaltare un’unghia della loro mano e mostrarla sui social media, accompagnandola al messaggio. È stata lanciata anche una raccolta fondi da devolvere ad associazioni che si occupano di sostegno all’infanzia.

Ma da dove salta fuori l’idea di dipingersi le unghie? Da un’esperienza personale di Costello in Cambogia, dove si trovava per lavoro. Ha avuto occasione di parlare a lungo con una ragazza dalla storia difficile di nome Thea, maltrattata in orfanotrofio proprio dalle persone che dovevano proteggerla. Prima di congedarsi, la ragazza gli aveva smaltato un’unghia di blu e Costello se n’è servito come simbolo per la sua nuova battaglia.

Photo Credits | Twitter