Brenda, la mamma coraggio morta nell’attentato di Orlando

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Una mamma, una donna coraggiosa, di quelle che non nascondono l’omosessualità dei figli e sono disponibili ad andare oltre l’orientamento sessuale condividendo passioni e interessi comuni. Lei si chiamava Brenda e la sera dell’attentato di Orlando era al Pulse per ballare con il figlio gay. Il racconto dei sopravvissuti è straziante. 

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Il filtro sbiancante di Snapchat

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Il digitale si presta sempre a mille polemiche ma qualche volta ci mette del suo: suscita controversie sui social il filtro sbiancante di Snapchat. Molti utenti si sono accorti che tra le funzionalità dell’app più trendy del momento ci sono filtri che tendono a sbiancare la pelle. E non ne sono stati contenti.

Che i filtri di Snapchat siano divertenti non c’è dubbio, specialmente quelli più ironici che ci agghindano con corone di fiori, arcobaleni che sbucano dalla bocca e musi di teneri animali. Ce ne sono anche molti altri che intervengono sull’aspetto estetico di chi si fotografa restringendo il volto, ingrandendo gli occhi e… sbiancando la pelle.

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Non è certo la prima app che offre questa possibilità, esistono moltissime applicazioni nate appositamente per ritoccare le foto e nascondere i difetti, cancellando le occhiaie o aggiungendo un effetto sfumato che addolcisce la cruda realtà. Ma un filtro che sbianca la pelle è stato avvertito negativamente dalla community online. Soprattutto perché non è un filtro specifico che si possa scegliere, ma una conseguenza dell’uso di altri filtri che hanno o dovrebbero avere altri scopi.

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In un’epoca in cui è più che mai acceso il dibattito sulla percezione del corpo femminile e sugli standard di bellezza propinati dalla pubblicità, il filtro sbiancante di Snapchat è di grande attualità e la comunità digitale non si è lasciata sfuggire l’occasione di dire la sua.

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A dare avvio alla polemica c’è stato il filtro Bob Marley lanciato in occasione dell’anniversario della scomparsa del grande artista. Era un filtro temporaneo che consentiva di modificare il proprio volto per somigliare alla star del reggae, scurendo la pelle. Il dibattito suscitato ha portato l’attenzione anche sulle conseguenze di altri filtri, per esempio il filtro Coachella, quello che ci adorna con una corona di fiori, che sbianca eccessivamente la pelle.

Un gran numero di utenti ha espresso il proprio disappunto sottolineando che i filtri sono divertenti proprio perché alterano il proprio aspetto ma non si dovrebbero prendere troppo alla leggera queste alterazioni proponendole come strumenti per rendersi socialmente più accettabili o per suggerire un’aderenza a standard di bellezza che non si riconoscono come propri.

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Jamais assez maigre, una modella contro l’anoressia nella moda

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Se ne parla spesso ma evidentemente non abbastanza e se alcune maison provano a proporre un ideale di bellezza fuori dagli assurdi canoni imposti dalla moda si finisce per accusarle di sfruttare la sensibilità pubblica al problema per fini pubblicitari.

Le modelle troppo magre sono una questione delicata che va affrontata a livello sociale prima che comunicativo, intervenendo alla radice sulla percezione che le donne hanno di se stesse e del proprio corpo e sull’ansia di voler aderire ad un modello che, tuttavia, viene diffuso dalla comunicazione: un cane si morde la coda.

Intanto la modella Victoire Maçon Dauxerre conduce la sua battaglia personale suscitando scalpore in Francia dove è uscito da poco il suo libro Jamais assez maigre, letteralmente mai abbastanza magra. Con la sua testimonianza attraverso il diario delle proprie disavventure nel fashion system ha riacceso i riflettori sul problema.

Notata da un talent scout ad appena 17 anni, la modella è diventata presto un volto molto richiesto. Le pressioni però sono state sin da subito fortissime, come racconta nel suo libro: il prezzo da pagare era la necessità di essere sempre più magra per rientrare nella taglia 32 che corrisponde ad una 36 italiana.

Dopo essere arrivata a pesare appena 47 chili per 178 centimetri di altezza, ed essere giunta a nutrirsi di appena due mele a pranzo prima di ogni sfilata, è caduta in depressione e ha persino tentato il suicidio.

Dopo questa devastante esperienza ha deciso di raccontare il suo calvario puntando il dito contro l’industria della moda per la quale non si è mai abbastanza magre. Il suo libro ha già venduto 50.000 copie e scosso le coscienze. Ma quanto durerà?

Nudi di donne per non fare votare Trump

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Un altro tassello alla campagna elettorale americana che dall’avvento di Trump è sicuramente più colorita che in passato. Il progetto si chiama “Tramps against Trump” e promette a tutti coloro che si recano a votare e votano chiunque tranne Donald, la foto di una donna o di un uomo nudo. 

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In Pakistan i mariti possono picchiare le mogli

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È sempre scoraggiante scoprire situazioni in cui le donne sono ancora subalterne all’uomo e in loro completa balia, sappiamo che c’è ancora molta strada da fare verso la parità di genere e il rispetto tra i sessi ma è allo stesso tempo un moto d’orgoglio che ci pervade e ci induce a combattere con maggiore determinazione certi atteggiamenti di violenza più o meno esplicita.

È la riflessione che provoca la notizia della recente proposta di legge avanzata in Pakistan secondo cui i mariti possono picchiare le mogli, ma “leggermente.” Oltre al danno la beffa, perché la legge parla della possibilità di picchiare la propria moglie “con leggerezza” a fini educativi.

A riportare parzialmente il testo di legge è il Washington Post che sottolinea alcune delle situazioni in cui al marito sarebbe concesso picchiare la moglie: se rifiuta vestirsi secondo le norme imposte dal marito, se rifiuta di avere con lui un rapporto sessuale, se non fa il bagno dopo il rapporto sessuale o durante le mestruazioni, se interagisce con un estraneo senza il permesso del marito o se parla a voce troppo alta.

Una legge che incoraggi la violenza sulle donne, normando addirittura tutti i casi in cui questo uso (e abuso) è non solo concesso ma tutelato, è un passo indietro che vanifica le molte lotte che le donne pakistane, e le donne di tutto il mondo, hanno condotto per decenni per acquisire una dignità che le sottragga all’ingerenza costante del marito e degli altri uomini della propria famiglia in ogni ambito della propria vita pubblica e privata.

Per rispondere a questa assurda proposta di legge il fotografo Fahhad Rajper ha scelto di ritrarre le donne pakistane moderne, indipendenti e fiere, che fanno il lavoro che hanno scelto e posano con uno sguardo aperto e pronto a sfidare una legge inaccettabile.

Il giovane fotografo ha scelto di dire no alla proposta avanzata dal Consiglio islamico con un progetto che dia voce e volti alle donne contempoanee di un paese che vuole svincolarsi dai legacci di un passato asfittico che rischia di soffocare il loro presente.

Nasce così la campagna #TryBeatingMeLightly, letteralmente “prova a picchiarmi con leggerezza”, con 12 ritratti in bianco e nero accompagnati dai commenti delle donne che hanno posato e sbeffeggiato a modo loro una proposta di legge considerata ridicola oltre che del tutto lontana dal vero spirito dell’Islam:

“Picchiami con la tua intelligenza, se puoi. Picchiami con il tuo spirito. Picchiami con il tuo sorriso. Picchiami con la tua gentilezza. Ma se hai il coraggio di picchiarmi anche solo con una piuma, sarò costretta a reagire. Con l’amore.”

Così Sadiya Azhar, una delle donne ritratte negli scatti, ha deciso di rispondere alla provocazione del Consiglio dell’idelogia islamica che vigila sulle leggi emanate dal governo in modo che non contrastino con la legge islamica. In questo caso però lo fa incentivando e legalizzando la violenza domestica.

Photo Credits | Golfmhee / Shutterstock.com

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Con la Guess contro la violenza sulle donne

Belen guess

Con la Guess, contro la violenza delle donne, lo scorso 27 maggio ha visto scendere in campo nel corso del “Denim Day” numerosi vip testimoniare la propria solidarietà nei confronti del mondo femminile con un semplice gesto: quello di indossare dei jeans. Come è nata questa curiosa protesta?

Lapo Elkann bacia Uma Thurman ma lei non ci sta

Lapo Elkann

In occasione dell’Amfar Gala per la lotta all’Aids, Lapo Elkann per congratularsi con Uma Thurman ha deciso di stamparle un bel bacio in bocca, immortalato prontamente per poi fare il giro del mondo.

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Senza tacchi ti licenzio, se ti trucchi ti pago di più

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Mentre i paesi arabi compiono piccolissimi ma costanti passi verso l’emancipazione, l’Occidente annaspa ancora nella più bieca discriminazione. Ha fatto scalpore la notizia di qualche giorno fa secondo cui una receptionist di un’azienda londinese è stata licenziata per aver rifiutato di presentarsi a lavoro sui tacchi alti. Ma non è l’unico episodio di cui vogliamo discutere.

La protagonista della storia che dà l’avvio alla nostra riflessione è Nicola Thorp, 27 anni e dipendente di una società finanziaria. La donna si è presentata al lavoro con le scarpe basse, vedendosi riprendere immediatamente per non aver aderito al rigido dress code richiesto.

Dress code sì, ma fino a dove arrivare prima che si trasformi in discriminazione? Secondo il Guardian la giovane impiegata era stata derisa quando aveva fatto presente di essere vittima di discriminazione per essere stata invitata a non ripresentarsi al lavoro senza tacchi a spillo. La legge inglese dà ragione all’azienda e alla ragazza non è rimasto che lanciare un appello sui social e una raccolta firme nel tentativo di attirare l’attenzione sul suo caso.

Fin qui la cronaca recente. Ma il quadro è ben più ampio di quanto non possa apparire da un singolo episodio e il verbo apparire cade proprio a proposito visto che di apparenza si tratta: secondo uno studio condotto dalle università di Chicago e della California, le donne che si truccano e si curano molto ricevono un salario più alto rispetto a chi si cura di meno. Con buona pace delle competenze.

La ricerca, realizzata a livello nazionale, ha coinvolto 14.000 persone intervistate su diverse questioni relative a lavoro, formazione e salario valutati sulla base della cura della propria persona, inclusi scelta dell’abbigliamento, pettinatura e make-up.

Il risultato conferma che le persone curate tendono a guadagnare il 20% in più rispetto a coloro che hanno un look più ordinario. Questa disparità risulta più evidente tra le donne che non tra gli uomini e si somma ad un gap salariale incolmabile tra uomini e donne a parità di ruolo: con amara ironia ci viene da pensare che siamo tutte troppo sciatte per guadagnare di più?

Photo Credits | Moustache Girl / Shutterstock.com