Congedo mestruale, non aiuta le donne ma le discrimina

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Il congedo mestruale è su tutti i giornali da diversi anni e ultimamente si è tornati sull’argomento per via di un’iniziativa della società Coexist di Bristol che ha introdotto questa “misura” anche nella sua realtà d’Oltremanica. Ma se il congedo mestruale invece che aiutare le donne, contribuisse alla loro discriminazione?Il congedo mestruale esiste in Asia dagli anni Quaranta. Adesso sembra che possa approdare e fare scuola anche in Europa. In Italia è probabile che non lo si vedrà mai. Ma qual è il motivo per cui questo strumento non è universalmente considerato un grimaldello della civiltà?

L’azienda di Bristol che ha introdotto il congedo mestruale dice di averlo fatto in seguito ad una valutazione di tipo economico e produttivo: le donne nelle fasi più “acute” del ciclo oltre ad essere maggiormente irritabili, non sono affatto produttive. Se invece di recarsi sul posto di lavoro avessero la possibilità di riposare a casa, è certificato che il loro livello produttivo al rientro aumenta quasi dell’80%. In pratica l’azienda fa un affare al prezzo di una piccola concessione che non necessariamente poi sarà sfruttata da tutte le donne impiegate.

Sembra una questione di civiltà, uno strumento essenziale nella lotta alla discriminazione delle donne che soffrono di dismenorrea, eppure ci sono tante donne che ritengono il congedo mestruale una forma di discriminazione che sposta l’attenzione su un elemento del tutto fisiologico (come lo sono i dolori mestruali), trascurando tantissimi altri aspetti altrettanto importanti che marginalizzano le donne che scelgono la carriera. Insomma, chiedere un congedo mestruale contribuirebbe ad alimentare i cliché sul gentil sesso nel posto di lavoro. Non sarebbe meglio, dicono le oppositrici, insistere sull’equiparazione delle retribuzioni e concedere gli stessi diritti a uomini e donne?

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