Centri antiviolenza chiusi, donne ammazzate due volte

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I Centri Antiviolenza, ogni anno, assistono più di 15.000 donne ma adesso sembrano essere stati dimenticati dallo Stato che sta provvedendo alla loro chiusura. Che fine fanno le donne assistite da questi centri? Perché sono stati chiusi questi punti nevralgici della battaglia contro la violenza sulle donne? 

L’ultimo caso balzato sulle prime pagine della cronaca nero è quello della morte di Federica De Luca, la moglie trentenne di Luigi Alfarano di Taranto, che è stata uccisa dal marito insieme al figlio di 4 anni. È stata uccisa nel giorno in cui gli avvocati avrebbero dovuto formalizzare la separazione tra i due. Un mese dopo l’uccisione della donna, l’associazione di cui faceva parte, l’AVO, ha organizzato una fiaccolata durante la quale sono state mostrate le foto scattate all’obitorio con evidenti segni delle percosse subite.

Nonostante questo, i centri antiviolenza in Italia sono prossimi alla chiusura. È stata firmata la convezione di Instanbul sulla violenza di genere, è stata messa in cantiere una legge per la tutela delle donne, in più nel 2013 erano state stanziate delle risorse da destinare ai centri antiviolenza. Adesso le risorse ci sono ma non sono state più distribuite.

In pratica c’erano 16,5 milioni distribuiti soltanto in minima parte prima del 2013, poi sono stati stabiliti altri 18 milioni per il biennio 2015-2016 ma questi ultimi fondi non sono stati mai erogati. E così per una questione “burocratica” ed economica, i centri antiviolenza vengono chiusi. La rete D.i.Re. però, esprime tutto il suo rammarico spiegando che nei 75 centri distribuiti sul territorio italiano, sono accolte più di 15.000 donne, italiane e straniere, in cerca d’aiuto. È giusto che la burocrazia ponga fine a tutto questo? È giusto che non ci sia costanza nella tutela delle donne? Non è come ammazzarle due volte?

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