donna trentenne uomo

10 cose che una donna trentenne vuole da un uomo

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A trent’anni se c’è una cosa che abbiamo capito di noi stesse, e non è detto che siano tante, è quello che vogliamo da un uomo. Ecco una lista semiseria di 10 cose che una donna trentenne cerca in un uomo (e che spesso non trova).

Ascoltami

Se è vero come è vero che le donne parlano troppo, lo è altrettanto che gli uomini, quando si tratta di ciarle femminili, hanno spesso canali uditivi strutturati in modo che ciò che entra da destra esca direttamente da sinistra. D’accordo, starci a sentire mentre parliamo per ore dei guai sentimentali delle nostre amiche non sarà il massimo del divertimento, ma che sappia ascoltarci quando ne abbiamo davvero bisogno è importante. Capito, uomini distratti dalle partite?

Proteggimi

Sarà anche superato, o così ci piace credere immaginandoci come donne forti del terzo millennio che si salvano da sole – persino Disney ha rinunciato al principe Azzurro che salva la principessa! Eppure ci piace avere a fianco un uomo capace di farci sentire protette e al sicuro, che si prenda cura di noi.

Cresci!

Lo riaffermiamo con forza e una volta per tutte: non siamo le vostre madri, né un surrogato. La sindrome di Peter Pan è carina finché hai 16 anni, se vogliamo esagerare te ne concediamo 20, dopo è solo una palla al piede di cui ti devi liberare e in fretta. A 30 anni è già stantia, a 40 è del tutto inaccettabile. Vogliamo concretezza: sapere cosa vuoi e fare qualcosa per raggiungerlo.

Fammi ridere

Un uomo divertente, che ci faccia vivere con allegria e leggerezza, è il sogno di tutte le donne. La verità è che spalle larghe e sguardo tenebroso passano in secondo piano rispetto ad uno spirito allegro e alla capacità di regalarci una risata. Non nascondetevi, uomini con la pancetta, la vostra arma migliore non sta negli addominali di cui siete sprovvisti.

Sii mio amico

Prima che un compagno, un uomo con cui condividere la vita dev’essere un buon amico, un complice nelle avventure ma anche qualcuno che sappia dirti chiaro e tondo quello che pensa anche quando non è quello che vorremmo sentirci dire. Essere un sostegno nella tempesta e uno specchio nel quale vedersi per come si è davvero.

Seguimi

Non vogliamo il cagnolino che ci segua docilmente ma qualcuno che non ci tarpi le ali, che nutra i nostri sogni e sia pronto a buttarsi anima e corpo in un progetto a cui teniamo. Un ottimo punto a favore è condividere gli stessi interessi ma non è indispensabile. Lo è di più il fatto che rispetti i nostri e si lasci coinvolgere con entusiasmo in quello che amiamo.

Dammi stabilità

Il bel tenebroso scapestrato è passato di moda da un pezzo, va bene per le nostre fantasie di fuga ma non certo per tenerselo di fianco vita natural durante. Quello che vogliamo è stabilità, una stabilità emotiva prima di tutto, la capacità di impegnarsi in una relazione matura. Se poi puoi offrirci anche una buona stabilità economica, chi ti dice di no?

Non aver paura di mostrarti sensibile

Le esibizioni da macho riservatele alla palestra, meglio ancora al passato, entro la scuola media. Un uomo al fianco di una donna trentenne non deve avere timore di mostrare la propria parte femminile, persino le proprie fragilità. Quale passo avanti per l’umanità sarebbe se ci fossero più uomini capaci di comprendere empaticamente l’universo femminile? Credeteci, uomini, si può fare semplicemente lasciando spazio alla sensibilità.

Non mi opprimere

Vogliamo solidità ma anche la giusta dose di leggerezza. Ad un uomo chiediamo di non opprimerci, farci sentire libere senza mancare di essere presente e attento. Non disdegnamo qualche piccola galanteria d’altri tempi, specialmente se sa sorprenderci quando meno ce lo aspettiamo, ma vogliamo restare individui che scelgono di stare in coppia e non annullarci come parte indissolubile di un insieme.

Comunica

Parlarsi, certo, ma non solo a parole. Vogliamo un uomo che sappia comunicare con noi a tutti i livelli, che non si chiuda in se stesso ma che dialoghi continuamente con noi, fisicamente e affettivamente, intellettualmente e sì, anche verbalmente.

Troppe pretese? Si tratta della propria felicità, in fondo, non c’è pretesa che non valga la pena di aspettarsi. E non biasimateci se vogliamo cose che appaiono contraddittorie, è il giusto mix che rende una persona quella di cui ci innamoriamo perdutamente.

Photo Credits | CHOATphotographer / Shutterstock.com

hijab di dolce e gabbana

Gli hijab di Dolce e Gabbana

hijab di dolce e gabbana

La notizia sta facendo il giro del mondo e suscitando grandi entusiasmi come dure polemiche: parliamo dalla nuova collezione di abaya e hijab di Dolce e Gabbana lanciata di recente su Style.com/Arabia, la sezione del celebre sito di Vogue che si rivolge alle donne in Medio Oriente.

La nuova linea riprende due degli indumenti tradizionali delle donne musulmane e li rivisita in chiave extralusso, scegliendo tessuti preziosi e leggeri, ricami e stampe delicati e colori neutri. Poi li abbina ad accessori appariscenti e dal lusso più sfarzoso, dalle borse agli occhiali da sole. Il risultato è indubbiamente fastoso ma anche molto stridente.

Hijab e abaya, cioè il velo che copre i capelli e la lunga veste scura fino ai piedi, sono infatti indumenti legati ad una religione che rappresentano la modestia femminile di fronte alla divinità. Trasformarli in capi di moda è stato reputato offensivo da alcune donne che sull’account Instagram di Stefano Gabbana hanno commentato infastidite. Lo stilista aveva infatti anticipato con qualche immagine le nuove creazioni che sono state poi presentate ufficialmente sul sito con il lookbook dedicato che potete vedere in gallery.

Ai designer sono stati riservati però anche molti applausi da parte di chi li ritiene innovatori capaci di assottigliare il grande divario culturale che esiste tra il mondo occidentale e quello medio-orientale, il cui mercato del lusso è in continua crescita e a cui spesso le case di moda si adeguano realizzando collezioni speciali.

Che Dolce e Gabbana abbiano interpretato in tempi è chiaro, da tempo i segnali sono chiari. Citiamo per esempio la pubblicità di H&M con una modella che indossa l’hijab per non dire delle svariate collezioni moda realizzate esclusivamente da molti marchi per il mercato medio-orientale in osservanza delle regole più caste richieste da quelle società.

Tuttavia ci resta in bocca quel retrogusto un po’ acidulo che deriva dall’inevitabile pensiero: hijab, abaya, burqa e tutte le loro variazioni sono strumenti di prevaricazione sulle donne e non sarà qualche ricamo e la piacevolezza della seta a renderli meno oppressivi. D’altro canto il mercato chiede e il mercato offre a dimostrazione del fatto che come sempre il dio denaro vince su tutto.

tasse sugli assorbenti

In California si aboliscono le tasse sugli assorbenti

tasse sugli assorbenti

Mentre le donne indiane lottano contro il tabù delle mestruazioni, anche in Occidente ancora piuttosto radicato, noi tutte dobbiamo fare i conti con un aspetto molto più pratico della faccenda. L’acquisto di assorbenti rappresenta una voce di spesa non indifferente nel bilancio di una donna e a questo proposito arriva una notizia interessante dalla California.

Due donne politiche californiane, la democratica Cristina Garcia e la repubblicana Ling Ling Chang, hanno proposto di eliminare la tassazione da tutti i prodotti per l’igiene intima femminile correlati al ciclo mestruale, dunque assorbenti, tamponi, salvaslip e tutto ciò che ci serve nei giorni rossi del mese.

“In pratica veniamo tassate per il fatto di essere donne – dicono le due promotrici dell’iniziativa – e vogliamo compiere questo importante passo verso una maggiore giustizia di genere.”

Eliminare la tassazione dagli assorbenti potrebbe essere un passo significativo, seppur piccolo, verso un’uguglianza di genere che è ancora molto lontana dall’essere effettivamente raggiunta? Come sappiamo, l’uguglianza tra uomo e donna è ancora tutta da conquistare sia nella sfera sociale che in quella professionale. Il gap tra uomini e donne è tuttora profondo anche nelle società occidentali che hanno già vinto molte battaglie, basti pensare alle differenze di salario per un esempio su tutti.

“Una donna non può scegliere se comprare o meno questi prodotti – continuano le due politiche – ma gli effetti economici di ciò vengono subiti solo dalle donne e specialmente dalle donne in difficoltà economica. Non puoi ignorare il tuo ciclo mestruale. È un’altra faccia della discriminazione sessuale.”

Solo in California, le donne spendono oltre 20 milioni l’anno in tasse su assorbenti e tamponi. Considerando che una donna percepisce meno di un uomo, la diseguaglianza è servita. Secondo la nuova proposta invece assorbenti e simili saranno equiparati a dispositivi medici esenti da tassazione. Possiamo sperare in una simile evoluzione anche nel nostro Paese?

Photo Credits | Roman Globa / Shutterstock.com

#HappyToBleed donna indiana

#HappyToBleed, donne indiane contro il tabù delle mestruazioni

#HappyToBleed donna indiana

Le donne indiane assaltano i social media con un hashtag che esprime il loro dissenso nei confronti dell’ennesima discriminazione: si tratta del tag #HappyToBleed e nasce da un episodio accaduto in un famoso tempio hindu che non permette l’accesso alle donne in quanto impure.

A lanciare la campagna online è stata la studentessa Nikita Azad per protestare contro una dichiarazione dell’amministrazione del tempio di Sabarimala, in Kerala, e spezzare una volta per tutte l’atavico tabù che circonda il tema del ciclo mestruale. Una donna che sanguina viene ancora considerata impura da molte religioni.

“Sono credenze discriminatorie quelle che considerano le mestruazioni qualcosa di impuro. Le mestruazioni sono naturali – continua Azad – e non vanno nascoste.”

Per rispondere all’appello sui social media alcune donne hanno pubblicato foto con assorbenti, biancheria intima e abiti macchiati. Ma se nella società più avanzata delle città tutto questo non crea scandalo, nelle zone rurali dell’India permane l’antica credenza.

Durante il periodo mestruale le donne vengono sistematicamente allontanate dalla cucina come dai templi perché non è loro concesso né toccare il cibo né presentarsi in un luogo sacro. La società indiana è molto conservatrice e lo è persino ci si aspetta una maggiore apertura, come nelle grandi città.

La diatriba ha avuto inizio quando Prayar Gopalakrishnan, presidente dell’amministrazione che gestisce il tempio, ha dichiarato che potrebbe concedere l’accesso alle donne solo se esistesse un modo per assicurarsi che non sono mestruate. Una macchina, per esempio, che riconosca se una donna ha il ciclo e se dunque può entrare nel tempio oppure no.

“Quando questa macchina sarà inventata, valuteremo la possibilità di consentire l’accesso alle donne.”

Al momento la parte superiore del tempio è negata a tutte le donne in età da riproduzione, è uno dei pochi templi Hindu del Paese a mantenere questa rigida tradizione e ciò pare stia contribuendo a far sorgere una nuova consapevolezza dei propri diritti nelle donne si sentono ingiustamente escluse. Per adesso al tempio è consentito l’accesso solo alle ragazze sotto i 10 anni e alle donne sopra i 50 anni.

Photo Credits | Lucky Business / Shutterstock.com

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Kimoji, le emoji di Kim Kardashian

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Essendo una vera e propria celebrità sui social media prima ancora che in televisione o davanti agli obiettivi dei fotografi, Kim Kardashian si trova perfettamente a suo agio tra le pagine di Faceook, le immagini di Instagram e le stringate espressioni di Twitter. Ecco perché non dovrebbe sorprenderci se lancia la sue emoticon personali.

Si chiamano Kimoji unendo al proprio nome di battesimo il nome delle famose emoji che esprimono pensieri e stati d’animo in digitale. La sorella maggiore delle Kardashian può vantare milioni di like sui social media e da oggi anche un set personale di emoticon.

Tra le emoji che ha scelto di proporre ai fan ci sono naturalmente quelle con le proprie fattezze, tra cui il celeberrimo belfie – cioè il selfie della parte posteriore del corpo – che ha contribuito a rendere famoso con le sue forme generose.

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Ci sono però anche emoticon dedicate al mondo sfavillante del lusso più sfrenato nel quale la celebrità vive immersa. Non mancano quindi abiti, smalti, corsetti e naturalmente il contouring, la tecnica di trucco che scolpisce i lineamenti del viso e di cui Kim è appassionata tanto da averne fatto un vero e proprio marchio di fabbrica. E poi auto di lusso, carte di credito, dollari a pioggia, lingerie super sexy.

Il set di emoji dedicato si scarica dall’App Store dove è disponibile da pochi giorni come un regalo di Natale della Kardashian ai propri followers. Un set come un altro, certo, ma anche una sonora smentita a tutti i tentativi di trasmettere un messaggio positivo riguardo al corpo femminile e alla sua commercializzazione. A questo punto non preferivamo forse le emoji a forma di vagina anziché quelle del lato B della signora West?

pixee fox punto vita

Pixee Fox, la donna con il punto vita da 40 cm

pixee fox punto vita

L’uso del corsetto era tanto consueto quanto doloroso nei secoli andati ma c’è ancora chi se ne serve per ottenere l’agognato vitino da vespa che nessun allenamento in palestra può promettere. Poi però rischia di morire. Succede ad una modella americana di origine svedese che ha un punto vita di appena 40,5 centimetri.

Per riuscire ad ottenere questo incredibile e anche un po’ impressionante risultato ha hatto ricorso ai corsetti ma si è anche fatta rimuovere alcune costole in modo da poter ridurre ulteriormente il diametro del suo girovita. Cosa non si è disposte a fare in nome di un pur discutibile ideale di bellezza?

In consueguenza di questa scelta la donna sarà costretta ad indossare il corsetto per tutto il resto della sua vita perché se lo togliesse rischierebbe addirittura di morire. L’intervento di rimozione delle costole è avvenuto lo scorso Ottobre e la modella ha mostrato orgogliosamente su Instagram l’immagine della cicatrice che ne è derivata.

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Prima dell’operazione il suo punto vita misurava 61 centimetri, praticamente un girovita già perfetto se di perfezione possiamo ancora azzardarci a parlare discutendo di corpo femminile, specialmente alla luce delle ultime campagne di sensibilizzazione riguardo a come la società lo percepisce o tende ad imporlo.

Perché ridurlo, quindi? La modella venticinquenne che ha deciso di condannarsi ad una vita di corsetti perenni ha spiegato ai media che l’hanno intervistata di aspirare ad avere un fisico simile a quello di Jessica Rabbit o della principessa Aurora di La Bella Addormentata perché

“questi personaggi dei cartoni animati rappresentano l’idealizzazione del corpo femminile.”

Verso questa affermazione nutriamo francamente non poco scetticismo e ci domandiamo se non siamo proprio noi donne le prime a sabotare ogni sforzo di estirpare dalla società la visione di un corpo femminile legato a stereotipi che non hanno un reale corrispettivo nella vita quotidiana di tutte noi.

Photo Credits | Instagram

test della verginità Indonesia

Il test della verginità in Indonesia

test della verginità Indonesia

La violenza sulle donne non è solo quella fisica ma anche quella psicologica, in alcuni casi non solo umiliante ma anche talmente radicata e istituzionalizzata da essere considerata la normalità. Accade in Indonesia dove alle donne è permesso arruolarsi ma solo dopo essersi sottoposte ad una prova molto particolare, il test della vergnitià.

Oltre alle consuete prove psicologiche e fisiche a cui devono sottoporsi tutte le reclute, infatti, alle donne è richiesta un’integrità fisica in più attraverso un test eseguito da un medico che verifica, con l’inserimento di due dita, se l’imene sia stato effettivamente lacerato o meno. Le donne che hanno già avuto un rapporto sessuale vengno rifiutate, considerate indecenti e inaccettabili, l’integrità dell’imene come simbolo di un atteggiamento mentale e morale sano.

Lo ha denunciato l’ONG Human rights watch proprio quest’anno allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e creare pressioni sul governo locale perché elimini dalle sue procedure questa pratica degradante che viola la dignità umana delle donne e non ha alcuna base scientifica.

Dal canto loro le autorità indonesiane difendono a spada tratta questa consuetudine considerandola fondante nella scelta del personale di sicurezza visto che nei soldati, affermano, ciò che più conta è la mentalità e la moralità e una donna che ha perduto la propria verginità dimostra – continuano – un atteggiamento che non può considerarsi sano.

Affermazioni che fanno accapponare la pelle a noi donne occidentali ormai abituate a considerare la sessualità un ambito esclusivamente personale, pur a costo di lunghe lotte e con vaste sacche di arretratezza che permangono, specialmente nel mondo del lavoro dove una donna guadagna ancora meno di un uomo a parità di ruolo.

Il test della verginità ci appare come una pratica barbara, priva di senso, che sembra conservare il solo scopo di dominare le donne mantenendole in una condizione di sottomissione. Tutto in nome di un decoro di facciata dal momento che per preservarlo si perpetra una simile umiliazione.

La polizia indonesiana pratica il test della verginità almeno dal 1965 e non intende rinunciarvi nonostante sia stato evidenziato anche dall’Organizzazione mondiale della salute che la rottura dell’imene non è necessariamente correlata al rapporto sessuale. Eppure nello stesso paese e in due occasioni molto recenti, nel 2010 e nel 2013, è stato proposto di introdurre il test anche nelle scuole, espellendo le studentesse che non si fossero rivelate vergini.

Photo Credits | antoni halim / Shutterstock.com

other stories modelle con le cicatrici

Le modelle con le cicatrici di Other Stories

other stories modelle con le cicatrici

La pubblicità si affanna in ogni modo per negarlo, le riviste di moda spesso ne seguono l’esempio in nome di un ideale di bellezza tanto patinato da diventare artificioso, di sicuro non naturale. Eppure a renderci uniche sono proprio le nostre imperfezioni.

Lo afferma con decisione il brand & Other Stories che ha scelto per la sua ultima pubblicità di lingerie modelle con le cicatrici e altri difetti più o meno manifesti, senza darsi pena di nasconderli ma anzi mostrandoli senza interventi.

Parliamo di difetti ma solo se usiamo la terminologia di chi ha fatto del fotoritocco il proprio strumento d’elezione, naturalmente. In verità non sono altro che normali segni che tutte noi portiamo sul corpo, per circostanze di vita o semplicemente per scelta. Ci sono cicatrici, segni di nascita, macchie della pelle, peli non depilati, tatuaggi e rotolini. Esibiti con completa nonchalance.

Il risultato, se paragonato alle statuarie modelle senza macchia che ci guardano dall’alto in basso da molti cartelloni pubblicitari, appare persino povero, decisamente sotto tono. Il punto è che dobbiamo cambiare prospettiva, non considerare come termine di paragone le modelle ritoccate ma noi stesse, le donne vere che di fatto indossano i capi proposti dalle pubblicità.

Si sprecano già le polemiche, naturalmente, tra chi immancabilmente taccia questa scelta come una furba mossa pubblicitaria e chi più prosaicamente e meno complottisticamente ritiene che le foto siano solo brutte. A noi sembra che abbiano qualcosa di importante da dire riguardo alla percezione del corpo della donna nella nostra società fin troppo abituata all’artificio.

E se ci abituassimo a considerare bella la normalità? Sono normali anche le modelle scelte per gli scatti. Si tratta della blogger e yogi Helin Honung, della violoncellista Kelsey Lu McJunkins e della copywriter Ida Lagerfelt, tutte fotografate da Hedvig Jenning.