Athena gadget anti stupro

Athena, il gadget anti stupro

Athena gadget anti stupro

Athena è il nome di un nuovo progetto che si propone di dare allo donne uno strumento per difendersi dalla violenza sessuale. Nasce come gadget anti stupro dall’idea di Roar for Good, una piccola azienda formata da Yasmine Mustafa e Anthony Gold che hanno lanciato il loro progetto su IndieGoGo. Sono riusciti a raccogliere in sole 48 ore tutti i fondi necessari per la produzione di Athena che sarà commercializzato a partire dal prossimo Maggio.

L’idea è venuta a Yasmine di ritorno da un viaggio in solitaria in Sud Africa dove non si è sentita sempre sicura nella sua condizione di donna sola e ha ascoltato moltissime storie di violenza sulle donne. Una volta rientrata a casa, è venuta a sapere che durante la sua assenza anche una vicina di casa era stata assalita e stuprata proprio lì dove credeva di potersi sentire più al sicuro. È nata così la volontà di dotare le donne di uno strumento per chiedere aiuto in tempo reale.

Athena è praticamente un pulsante da indossare, con una clip o come ciondolo, che basta pigiare per pochi secondi. Parte così un forte allarme sonoro che richiama l’attenzione mentre contemporaneamente si invia ai propri contatti di emergenza un messaggio con la posizione esatta di dove ci si trova, in modo da essere localizzate immediatamente. Volendo si può disabilitare l’allarme sonoro mantenendo però il messaggio di allarme inviato ai propri contatti selezionati.

A differenza di altri dispositivi di auto-difesa, è sicuro per chi lo usa e non può essere utilizzato contro di sé in caso l’assalitore ce lo sottragga, come nel caso degli spray al peperoncino o di armi più o meno lecite. Inoltre passa tranquillamente tutti i controlli di sicurezza anche negli aeroporti.

“Le donne,” dice Yasmine, “hanno paura di usare strumenti di autodifesa perché non vogliono trovarsi a dover gestire anche una colluttazione.”

Inoltre Athena si può utilizzare per segnalare le aree a rischio in modo che le donne possano sapere quali zone evitare quando si trovano da sole.

Qualcuno ha già obiettato che un allarme non risolve in alcun modo il problema della violenza sulle donne eppure finché le donne avranno bisogno di difendersi da sole è probabile che proprio un allarme possa salvarle da un abisso di dolore e disperazione. I fondatori di Roar però tengono a precisare che:

“vogliamo andare alla radice del problema e per questo motivo abbiamo avviato una collaborazione con organizzazioni che si occupano dell’educazione dei giovani al rispetto e all’empatia, in modo che produrre un cambiamento culturale positivo.”

Il 10% dei proventi delle vendite del gadget anti stupro andranno infatti a queste organizzazioni, per supportarne il lavoro. Intanto Athena è già stato pre-ordinato da migliaia di donne in 20 paesi del mondo. Evidentemente era qualcosa di cui si sentiva il bisogno.

anti-rape cloak abito anti stupro

Anti-Rape Cloak, l’abito anti-stupro

Anti-Rape Cloak

Il dibattito sulla donna oggetto, sulla sessualizzazione del corpo e sul messaggio che la comunicazione trasmette servendosene è più vivo che mai e l’ultima provocazione arriva dall’artista britannica Sarah Maple che ha presentato Anti-Rape Cloak, praticamente un abito anti-stupro.

Si tratta di un mantello nero, ampio e informe, con tanto di nome scritto a grandi lettere su fondo rosso proprio davanti. Lo scopo è quello di servirsi della satira per rispondere a chi ritiene che la scelta degli abiti da indossare possa avere una qualunque responsabilità sul terribile atto di violenza.

Sarah Maple non è nuova alle provocazioni, la sua produzione artistica ha spesso puntato ad accendere il dibattito intorno al corpo della donna e spiega con le sue stesse parole le intenzioni della nuova creazione:

“Mi ha sempre fatto molto arrabbiare l’idea che le donne vittime di stupro possano sentirsi in qualche modo responsabili per ciò che hanno deciso di indossare. Molte donne che conosco ci sono passate e non hanno mai denunciato, sono convinte che non sarebbero state credute. Leggendo Everyday Sexism di Laura Bates mi sono resa conto di quanto questo sentimento sia diffuso – a quante ragazze è stato detto che non sarebbe successo se non avessero indossato quella minigonna o se non avessero frequentato un certo posto.”

L’obiettivo dell’artista, fotogrando in giro per il mondo il suo Anti-Rape Cloak, è quello di incentivare il dibattito sull’eccesso di sessualizzazione delle donne e sull’idea della donna oggetto. E continua, dichiarando a Huffington Post:

“Raramente le donne vengono incoraggiate ad essere sexy. Dai media arriva continuamente un messaggio che punta sulla sessualità femminile ma se poi le donne si vestono in modo provocante, allora significa che se la cercano. È una contraddizione che mi fa infuriare. È ridicolo pensare che un po’ di carne esposta renda gli uomini animali senza controllo. È un’idea che svilisce sia gli uomini che le donne!”

stupro

Se lo stupro è colpa della vittima

stupro

Sogniamo un mondo in cui la parità dei sessi e il rispetto per le donne sia qualcosa di realizzato ma poi apriamo gli occhi sulla realtà e sappiamo di essere ancora molto lontani da tutto questo: violenza e stupro sono all’ordine del giorno, la negazione dei diritti in tutti gli ambiti della vita schiaccia migliaia di donne.

Chi crede ad una giustizia divina che trascende quella degli uomini riceverà forse un magro conforto ma resterà parimenti basito dalla notizia della sentenza che ha prosciolto gli stupatori di una ragazza emiliana abusata da un gruppo di coetanei. Secondo la sentenza la ragazza non si è difesa, non ha reagito e ha subito passivamente la violenza. Per la legge dunque i suoi violentatori non sono accusabili perché possono aver frainteso l’atteggiamento della ragazza per un consenso al rapporto sessuale. In pratica non ci sono le prove che non volesse.

Avrebbe potuto dire di no, sembra suggerire atrocemente la sentenza. Come se bastasse dire di no davanti ad un gruppo di uomini che ti usa violenza. Avrebbe dovuto graffiarli, strappare loro gli abiti, procurarsi e procurare contusioni che potessero dimostrare che no, non voleva. Non avrebbe dovuto restare pietrificata dal terrore, incapace di reagire per la paura e anche per via dell’alcol di cui tutti avevano abusato quella sera. La colpa dello stupro, alla fine, è della vittima e non del carnefice.

È solo una delle molte, troppe notizie simili che ogni giorno arrivano a bombardarci per farci sentire non solo vittime ma anche responsabili della violenza che subiamo. È colpa tua se alzi il gomito, se metti una minigonna, se flirti con un ragazzo che ti piace, se ti diverti come tutti gli altri ad una festa con l’incoscienza dei tuoi 16 anni – ma anche solo se cammini per strada a tarda sera, ché se non uscivi era meglio e non te la cercavi.

Sono tutti comportamenti che non rappresentano una corresposabilità nello stupro, che non danno a nessuno il diritto di alzare un dito su di te, di esercitare un potere su di te, di usarti a piacimento. Ma che vengono tuttavia sempre più spesso usati come tali sia dai responsabili dello stupro, sia da chi poi lo racconta sui media.

Questo è quanto sembrano suggerire, veletamente ma neanche così tanto, giornali e opinionisti: se l’è cercata. È una sentenza morale che ci inchioda molto più di una mancata sentenza giuridica e che al tempo stesso condanna al fallimento tutte le campagne di sensibilizzazione e di educazione sulla prevenzione degli stupri.

La prevenzione dello stupro non deve essere rivolta alle donne suggerendo loro di adottare comportamenti più prudenti o addirittura di evitare decine di occasioni (normalissime) per non esporsi al pericolo. La prevenzione al contrario deve essere rivolta agli uomini, a chi è convinto di avere dei diritti sulle donne e un potere su di loro e di poterli esercitare a propria discrezione. Quello che serve è una rigorosa educazione al rispetto.

La motivazione della sentenza è dolorosa:

“Se è vero che il comportamento passivo della vittima e il fatto che scivolasse nella doccia avrebbero dovuto indurli a sospettare che la stessa avesse perso la lucidità necessaria per presentare un valido consenso all’atto sessuale è altrettanto vero che l’assenza di azioni di respingimento e di invocazioni di aiuto avrebbero potuto ingenerare la convinzione che la 16enne fosse consenziente.”

È dolorosa per tutte le donne che hanno trovato il coraggio di denunciare e sottoporsi all’infinita trafila di perizie e verifiche, sospetti e ingiurie. Lo è anche per tutte quelle, molte di più, che non hanno avuto la forza di farlo e che restano a macerarsi per tutta la vita nel dubbio che forse, in fondo, sì, dev’essere stata anche un po’ colpa loro.

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